lunedì 22 novembre 2010

Clandestini nel silenzio del cinema (e nella vita)



Clandestini nel cinema? Nella vita e in amore? Io clandestina lo sarò sempre...per sperimentare me stessa, mettermi in discussione. Kim Ki Duk ci insegna - o invita - a diffidare di chi non approda alla vita attraverso la faticosa riscoperta di se stesso. Se poi ciò,si esprime, grazie anche all'esempio del regista coreano, apatico ad ogni forma di conformismo, possiamo tirare un sospiro di sollievo. Prendete nota: Kim è approdato al cinema dopo essere stato per cinque anni sottufficiale dell’esercito del suo paese, per due “seminarista” in un tempio riservato ai non vedenti (lui è vedente), per altri due studente di belle arti e artista squattrinato a Parigi. Vi prego, non chiamatela teoria da salotti letterari, ma esperienza di vita sublimata dalla formazione acquisita lontana dai circoli del sapere fini a se stessi. Che noia! Scusate,senza ipocrisie,la vita è fuori.E'sulle strade. E' nelle esperienze controvento. E' nel saper dire al proprio figlio : "Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila.Punto". Se Kim è autodidatta nella vita, lo è nel cinema. Riempio i miei silenzi (e taccuini) con i suoi fotogrammi. Osservo i punti cardinali delle costruzioni geometriche delle sue ombre imperfette che combaciano e misuro con il palmo della mano le simmetrie delle stesse. Come sono leggere le ombre, mentre la bilancia è lo sciacallo implacabile del peso dei corpi. Si potrà notare la costante presenza dell'acqua nei suoi film, ed è per chi nella vita è al 95% composto dall'acqua e al 5% dalle nuvole. E' per chi ha milioni di anni come gli oceani e scava in profondità della sua accettazione ( negli altri)?Che dire della musica con accenti arabeggianti?? O di quelle case galleggianti sospese nel nulla...Per me è tutta una lezione...