A otto anni dalla sua inaugurazione, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (Mart) rende omaggio al suo creatore, con una mostra che ripercorre la carriera di Mario Botta. Una carrellata di sessanta progetti, tra chiese avveniristiche, case unifamiliari ed edifici pubblici.
swissinfo.ch: Ci racconta un po’ le sensazioni che ha provato durante gli allestimenti di questa mostra che riassume una vita?
Mario Botta: Una mostra d’architettura rappresenta qualcosa che non c’è, perché l’architettura è fuori dal museo: è nelle strade, nelle piazze, nelle città. Tuttavia, sono felicissimo di questa grande opportunità che mi è stata concessa. Si tratta di un viaggio a ritroso, dentro me stesso, con prologo e appendice dei miei pensieri tramutati in realtà tangibile. Mi fa effetto pensare che sono trascorsi cinquant’anni dal primo lavoro, quando ero un giovane apprendista «di bottega» (Cappella di Genestrerio e casa unifamiliare di Morbio Superiore in Svizzera nel 1959, ndr). Ho ancora lo stesso entusiasmo di quando mi laureai a Venezia con i relatori Carlo Scarpa (suo grande maestro dal '64 al '69, ndr) e Giuseppe Mazzariol. Poco più tardi iniziai a forgiare la mia disciplina interiore facendo vita «da artigiano»: tre mesi con Le Corbusier e poi con Louis Kahn. Devo dire che scavando in profondità mi sono accorto di rincorrere sempre la stessa ossessione: la ricerca di una forma alla cui definizione concorrono, insieme, il rigore delle geometrie, i materiali, il modo nel quale la luce scandisce i volumi. Anche se, ancora oggi, davanti a tutto quel che vedo sono ancor più disarmato dal mistero del processo creativo.
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