lunedì 8 dicembre 2008

Il Suraj Hotel, la casa dei poeti senza porte

Sono partita per l’India genuflessa. Sono scappata dal mio piccolo dorato scolo europeo, un calendario fatto di giorni che non si staccano dalle pareti. Sbarcata a New Delhi davanti alle fogne circondate dalla misericordia ho acceso la mia prima pall mall. Ho spezzato il filtro in sella agli elefanti e ho annusato il sudore passivo degli antichi profeti. Certo, non era ancora fetore nauseabondo. Sospesa nel seme della follia, ho guardato dritto negli occhi l'autista indù con le calze di spugna bianche che mi aspettava nel piazzale principale. Ad attendermi c’era una fiat 127 rossa smagliante con almeno 20 anni di via e vai. Mi sono seduta su un asciugamano disteso nel sedile posteriore. Dall’aspetto, quella vecchia"carcassa", aveva sicuramente leccato le ferite dell'umanità senza saperlo. Prima di partire per Jaipur, ho pensato alla disgrazia e alla paradisiaca perdizione dei misteri della vita. Cosa diavolo stavo cercando? Dove stavo andando? Testa o croce? La sorte mi aspettava. L' autista indù aveva un occhio di vetro, il sinistro. Spiava il mondo dalla serratura dei peccati con una pupilla asimmetrica. Gli chiesi se potevo fumare la mia seconda pall mal sulla sua carcassa red. Mi rispose di sì, come un usignolo nella foresta che canta ai passeri. Quando la carcassa red è partita a zig zag tra la folla indiana in preda ad un delirio di onnipotenza, ho elencato le mie premesse per iniziare a guardare il mondo al contrario. Avevo deciso di abbandonare i miei tentativi di emulazione in campo letterario. Volevo solo guidare il carro della mia ispirazione fino a Jaisalmer, a 40km dal Pakistan. Qui, nel cuore del deserto del Thar, tra i discendenti della luna; il principe Batthi e i diari di viaggio di R.Kipling,Guido Gozzano, PPPasolini, sapevo che c’era la casa dei poeti senza porte: il Suraj Hotel. Quando arrivai ero consapevole del fatto che certi luoghi hanno la chiave per svincolarti la libertà da ogni pedaggio. Insomma, un temporaneo addio ai codici e agli ordini occidentali. Finalmente, potevo avere la sensazione di pensare a Edith Piaf e Marcel Cerdan fino chissà quando. In un attimo, sono arrivata davanti alla mia stanza che avevo prenotato dall’Italia sei mesi prima. I muri portanti erano scrostati, ammuffiti, caduti, inginocchiati. Il soffitto era crollato qualche mese prima, in seguito ad una scossa accidentale. Nessuno mi aveva avvisato del disagio. A quel punto, davanti allo scempio c’era da scegliere: cambiare albergo e lasciare i poeti, oppure restare lì a sentire il profumo della storia indomita? Non ci ho pensato due volte. Una situazione così imbarazzante non mi sarebbe mai più successa. Il titolare del Suraj Hotel era a dir poco mortificato, ma non come intendiamo noi. Mi sono fatta accompagnare nella camera martoriata dalle calamità in cui aveva dormito Pasolini. La stanza numero 3. Mi aspettava da anni, tra le poesie e le preghiere. Una volta entrata, ho chiuso gli occhi e ho chiesto a quel pezzo di muro che era rimasto di accogliere le mie pazzie. Le mie matite spuntate. Ho sfidato l’inferno, perché il paradiso non è chissà dove. Non riuscivo a immaginarmi in un hotel incartapecorito con la piscina jacuzzi in funzione. I viandanti erano venuti qui. Bruce Chatwin aveva scritto per mesi in tende miracolate e non potevo fermarmi davanti ad una processione di formiche nella stanza. L’India è anche questa. O la si prende tutta o la si lascia. Io non mi sentivo una turista. E neanche per caso. Ero al confine di tutto : di uno stato, di una nuvola, di un segreto, che ho sussurrato in un buco di quel muro affacciato sulle rovine del mondo e gli sterchi dei vagabondi. Qui, scusatemi, potevo solo impazzire d'amore. Come una vecchia puttana con la cipria, scappata dagli avvoltoi a piedi nudi nel deserto. Potevo mettermi una parrucca bionda e il reggicalze consumato dai temporali. Potevo bere la cicuta della poesia fino a morire. Ho preso la valigia e chiuso la porta. Ho raccolto il sangue dei poeti dai resti del pavimento. Mi sono sistemata sul letto di quarta mano, regale. Ho scopato. Forse con amore. Perché la destinazione era il paradiso. Alle prime luci del mattino, mi sono accesa la terza pall mall completamente nuda. Per fortuna, a qualche miglia da qui, i mendicanti con le mucche a cinque zampe di Puskar, sono in credito con il destino, mentre le mie ossessioni mi chiedono la grazia. Non l'avranno mai. Neanche nei film che iniziano con i fiocchi di neve.