martedì 24 agosto 2010

Giacometti e Cartier, ritornerò in rue d'Alesia




Giacometti, ritratto sotto la pioggia nel 1961 sotto l'obiettivo di Cartier mentre l'artista attraversava Rue d'Alesia a Parigi. Sono andata su quel marciapiede almeno tre o quattro volte nella mia vita a pochi passi dal cimitero di Montparnasse sulla riva sinistra della Senna al XIV arrondissement. Anche se avevo poco tempo, non ha mai piovuto. Tranne una volta che c'erano le nuvole. Un'ossessione, questa, confesso, che ho sempre con me come una vena aperta. Ho studiato a lungo Cartier Bresson e Alberto Giacometti, prima con il piglio accademico, in seguito per conto mio tra i filari di grano prendendo appunti su quell'ansia che Giacometti aveva di cambiare posto a se stesso come alle sculture e ai quadri.Alberto Giacometti che attraversa sotto la pioggia in rue d'Alesia, a pochi metri dal suo studio di rue Hippolyte Maindron 46, dove era stato almeno un'ora al cafe' Mouffetard a mangiare uova sode, caffe' e sigarette. A quei tempi non c'erano i moiti. L'artista svizzero era un tabagista incallito, spesso inghiottito dal fumo come dalla solitudine.Dava l'idea di essere più un cane che un uomo. Come il cane di se stesso, quello che ringhia in silenzio o che guarda il mondo senza muovere la coda. Lui, che ha scolpito la storia dell'arte con la faccia sporca e quell'andatura sgangherata che va di traverso, che non raccatta perche' ha imparato a non scodinzolare, che attraversa un boulevard senza farsi travolgere dal traffico ma che sa, per intuito, che gli potrebbe capitare un disastro da un momento all'altro. Giacometti attraversa Rue d'Alesia allo stesso modo del cane da lui ritratto in quella celebre scultura. Questa somiglianza è qualcosa di torbido e meravigliso. Qualcosa di irrisolto. Qualcosa che l'arte stessa non sa spiegare. Che va oltre. Ecco perchè non si ripara dalla pioggia. Ecco perchè l'ombrello non serve a tutti. Giacometti non si pone il problema: prende sempre tutta l'acqua di Parigi, perchè è nato bagnato. E Cartier, quel diavolo di un Cartier cosa fa? Lo acchiappa quando e' bagnato da strizzare, quando ha la testa arruffata dentro il collo, con quei capelli che scappano dalla testa, dentro il bavero dell'impermeabile sfilacciato. Bresson lo fotografa con la Leica vicino al ventre, là dove si mangia. Mica poco. Si nasconde, come nasconde la leica con lo scotch nero per renderla invisibile. Il suo punto di fuga è più vicino alla terra che al cielo. Poi, quando stampa, il cielo toglie i centimetri alla terra e la fotografia mette i tacchi a spillo. Devo tornare. E questa volta, aspetterò la pioggia.